Mattia Pajè, 23 gennaio 2017, The Night of the Space Eaters, prima proiezione del terzo millennio nel Cinema della Colonia dell’ex Villaggio Eni di Borca di Cadore, gelido.
Da quando abbiamo avviato Progetto Borca, nell’estate 2014, molte parti della Colonia hanno ripreso vita, riprocessate da artisti, architetti, designers.
L’uso degli spazi è cambiato, e cambia continuamente, in modo fluido, attraverso le installazioni, le performances, attività, laboratori, workshop.
In questa fase, il progetto di rigenerazione muove dunque gli spazi senza cristallizzarli, flusso e transiti nella Colonia sono costanti, la reinterpretazione dello spazio un uso, non una plasmazione.
Nella doppia sala cinema, fin’ora avevano trovato posto un’opera di Luca Chiesura, un’installazione spaziale di Alessandro Fogo, un (effimero) dormitorio abusivo (Vil Coyote). Lavori presenti e silenti: inghiottiti dal verde muschio tessile che riveste pavimento e pareti, l’ennesimo paesaggio interno, netto.
Nella notte del 23 gennaio 2017, la sala ha preso vita.
Nel gelo notturno, dopo 25 anni, nuove immagini han preso corpo, la prima proiezione della nuova era ha avuto luogo.
Non un test, ma un lavoro performativo di Mattia Pajè, che con The Night of the Space Eaters ha sovrapposto alle tracce gellneriane del tempo di questo spazio le tracce del tempo d’altri spazi e mondi, fantastici, cosmici, alieni, mostruosi, formidabili.
Ma quale irriverenza (irriverenza e reverenza squallidamente s’elidono, a Borca, che non è un capezzale della cultura passata, amen).
Ancora una volta, sono venute le rappresentazioni delle esplorazioni spaziali, risuonando, nella capsula riverberante di questa spaziale stazione d’esplorazione, ch’è la Colonia. Risuonando la Colonia.
Un’epifania d’alterità, e, ancora una volta, le fantEscienze e finzionalità, a corrersi e mordersi intorno, proiettate in vortice nel luogo preciso delle altre alterità: incarnate, scientifiche, costruttive, cosmiche anch’esse (il Cosmo di Gellner, radice d’universo costruito).
Mentre Audrey cadeva.
Tutti i film proiettati trattano temi legati allo spazio e alla sua esplorazione, terribile.
Questa pelle mobile ha incrociato le gelide polveri notturne.
Gli Space Eaters sono gli affamati.
Affamato non è chi mangia, ma chi non rimane steso, e s’alza a mordere.
Quando uno Spazio viene eccessivamente determinato in icona, esso si riduce all’aura statica di sé, al fantasma, o all’icona stessa, o alla sindone. Questo Spazio paralizzato va mangiato; a mangiarlo devono essere organismi famelici dal metabolismo critico-proiettivo, saprofiti culturali, potremmo dire anche.
No humans allowed: non si è trattato di uno spettacolo pubblico: non esiste alcun pubblico, mentre esiste lo Spazio. Mai abbiamo lavorato per uno spettatore: non esiste alcuno spettatore: il sangue della rigenerazione non è mai rappreso, e scorre per getti caldi nei tubi dal cuore: si nutre ella dello zampillo partecipativo, di sola azione.
In effetti, ogni talk decente sulla rigenerazione dovrebbe partire da Re-animator, Stuart Gordon, 1985.
Ma i talk sulla rigenerazione sono spesso indecenti, e letteralmente orrorifici.
Pajè ha rotto la censura della mobilità di questo spazio, riproiettandone l’immagine sua in vita.
Nel 2017, Cinema Progettoborca aprirà ancora le fauci, digrignando altri contenuti. Tra questi, mancherà, naturalmente, l’antropofagia del corpo di Gellner (che è la Colonia).