Un primo ciclo di olii su lino viene realizzato da Sophie Westerlind durante la sua prima residenza a Borca di Cadore, nell’estate 2019.
Essi fanno seguito ad una serie di disegni del vero in ambiente, con cui sempre l’artista approccia i nuovi contesti, avviandone l’indagine e lo studio.
Il disegno le consente di prender coscienza e di familiarizzare con gli spazi, gli oggetti, i temi, e pone le basi per la successiva elaborazione pittorica.
Tra luglio e settembre (mentre si dedicava anche a Tiziano Vecellio/Tiziano Contemporaneo e a Tintoretto, in preparazione di una collettiva e una personale, sempre con Dolomiti Contemporanee), l’artista ha vissuto al Campeggio, lavorando lì e in Colonia, dedicandosi agli spazi interni ed esterni dell’architettura di Gellner, oltrechè al paesaggio montano e ad alcune persone che ha avuto modo di conoscere.
Le casette blu del campeggio / De blå stugorna på campingen. Olio su lino, 70×80 cm, 2019.
Per me il disegno rimane il modo più immediato per capire e conoscere uno spazio specifico. Ho trascorso i primi giorni in residenza percorrendo il campeggio, disegnandone le strutture e gli scorci. Mi interessavano in particolare gli oggetti che i bambini avevano dimenticato o lasciato indietro, mentre erano via a camminare. Poteva essere una felpa Adidas buttata sulle scale oppure un paio di scarpe sul sentiero.
Tutt’intorno al campeggio erano evidenti gli effetti di Vaia. Il prato sulla montagna sembrava un campo di battaglia, una battaglia dei tronchi. Quei tronchi enormi contenevano dei micromondi, come dei condomini.
Il prete mi racconta che la sua prima ragazza si chiamava Ida / Prästen berättar för mig att hans första flickvän hette Ida, Olio su lino, 40×60 cm, 2019.
Ad una certa ora c’è lo stesso colore di rosa sia sul Pelmo che la facciata della Colonia / Just då hade byggnadens fasad och berget Pelmo nästan samma rosa färg, Olio su lino, 70×80 cm, 2019.
I Campi Sportivi / Sportplatsen, Olio su lino, 80×70 cm, 2019.
Le Docce / Duscharna, Olio su lino, 70×80 cm, 2019.
Mi colpiscono molto gli spazi, sia interni che esterni, che hanno la capacità di raccontare un vissuto e un’intimità. Questi luoghi divengono soggetti carichi di espressività e una grande fonte di ispirazione per il mio lavoro pittorico. Diventa stimolante interpretarli perché narrano di presenze umane e della loro quotidianità.
Le docce arancioni della Colonia sono il risultato di una riflessione pittorica che trae ispirazione da uno dei luoghi che ho potuto conoscere quest’estate, durante un periodo in Residenza in Dolomiti Contemporanee presso l’ex Villaggio Eni di Corte di Cadore.
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Questi spazi ora vuoti, che per decenni ospitarono bimbi e ragazzini eniani nelle loro vacanze estive, rimangono carichi di echi d’emozioni e di racconti che continuano a stimolare la mia immaginazione. Percorrendo i corridoi della Colonia ripenso a ciò che è potuto accadere tra i dormitori, le sale, il refettorio, gli spogliatoi.
Già alla prima visita alla Colonia sono rimasta particolarmente colpita da una delle sale docce, che mi ha rimandato a possibili incontri, voci e rumori.
Il luogo come un contenitore sospeso, dell’infanzia, delle sensazioni e sentimenti, come imbarazzo, gioia, paura, attesa e agitazione.
I dettagli e i particolari delle tende, i radiatori, le lampade, le meccaniche e gli asciugacapelli, sembravano portare una testimonianza delle persone che li hanno utilizzati, una traccia fossile che può essere ancora avvertita, appoggiandosi o sfiorando questi arredi.
Come molti altri spazi nella Colonia, questo luogo serba in sé le presenze, l’ombre di chi lo ha attraversato. Esso è diventato naturalmente il soggetto protagonista di un lavoro pittorico.