Mi dirigo verso Borca di Cadore portando con me alcune mappe ed un’articolata immagine mentale costruita sulle informazioni di carattere storico assimilate recentemente.
La mia prima esplorazione dell’ex Villaggio Eni avviene qualche mese dopo la tempesta Vaia, quando i suoi effetti si stanno sedimentando e rivelano un territorio tutt’altro che al suo grado zero, bensì sorprendentemente intatto, coeso.
Oltre agli operai, ho l’impressione che tutto sia in movimento, i primi cenni del cambio cromatico stagionale, sottilissimi, sulla flora, le nubi che vagano tra la valle e le cime, sovvertono la staticità da cartolina del paesaggio dolomitico, ma è un processo quasi inverso a quello entropico, che muove verso il miglioramento. Penso alla partita 3 di Bobby Fischer vs Spassky 1972: la svolta.
Mentre giro per i corridoi e le rampe all’interno della colonia respiro intelligenza e metodo. Cerco di mantenere un approccio analitico, quando avverto presto una forte perdita di orientamento: la realtà si sovrappone alle cartografie e al piano urbanistico facendo vacillare il mio equilibrio, provocando un dissesto che rende calcoli e misure parole meramente astratte. Dev’essere l’altitudine, penso.
Esco fuori e osservo le cassette vuote che contenevano gli idranti, le stesse che dentro la struttura spuntano come picchetti segnavia, comincio a visualizzare il percorso idrico, poi quello elettrico, ritrovo una chiarezza ed una spontaneità (nella quale si cela una sapienza meticolosa) da parte di Gellner e non riesco più a discernere il monte dal villaggio; o meglio non riesco ad immaginare come potesse esistere la montagna prima del villaggio. Sui pendii e sulle curve del terreno non c’è una griglia blu, ma strati e livelli. La colonia mi pare essere cresciuta come è effittivamente cresciuto insieme ad essa il bosco che la circonda. Qui, tempo geologico e tempo storico si fondono.
Il secondo giorno, al mattino, la familiarità con lo spazio si manifesta in alcuni strani automatismi del passo e dello sguardo, che mi permettono di distinguere tra macro e micro. Nonostante la pioggia e l’onnipresenza della frana, l’ambiente non è più ostile e si appresta ad essere scrutato e vissuto. In qualche modo credo che questa grande opera sia stata concepita nei termini di prevenzione del fallimento, per questo destinata ad incontrare e ad ospitare ancora nuove visioni, estendendo i margini di due grandi poli: esaurimento e compiutezza.
Questo luogo ha conservato, a mio parere, il concetto di energia sin dai tempi di Mattei, e non poteva che divenire (s)oggetto di trasformazioni, in cui convergono tutte le scienze.
Manuel Cilli, aprile 2019