Con lo sguardo da straniero (Be light, Mr. Gellner) – 2016/2019 (in progress).
Rob van den Berg ha iniziato a lavorare all’interno di Progettoborca nel 2015.
La sua indagine è venuta compiendosi per fasi, attraverso una serie di periodi in Residenza e cicli di lavoro, elaborazione concettuale e pratica.
Primo elemento: il programma-colore traverso cui Gellner donò un lineamento (non un paramento) plastico ulteriore al Villaggio delle vacanze montane dei dipendenti Eni.
Le Ville, le capanne fisse del Campeggio, i setti dell’immensa Colonia: su tutte queste membra stese nella foresta, membra del grande corpo d’architettura instaurata nella montagna, i colori primari vengono ad investire gli elementi, muri e setti, legni e plastiche.
Com’è proprio di Gellner, questi colori accesi, che rimescolati al verde del bosco agglutinante creano una sorta di frombola estetica che impedisce alla natura di allignare in algida indifferente autonomia, vengono riportati a tutte le scale dell’immenso corpo costruito, immerso (nel paesaggio).
Ecco che i gialli e i rossi e gli azzurri, dai setti ampi delle rampe della Colonia passano ai corpi illuminanti e agli gli interruttori della luce (be light -again-, Mr. Gellner), sovrappondendosi, e divenendo parte fondamentale, sia dell’architettura in relazione al paesaggio che dell’interior design.
L’artista (olandese basato a Venezia), che vien da fuori, approccia il sito con lo sguardo dello straniero.
Il metodo (mica una maniera) di Gellner, gli è compatibile.
Nelle forme, nelle geometrie.
Il quadrato, che non è uno stilema ma un elemento del plastico costrutto funzionale. I principi compositivi, come quello, neoplastico, su cui si ordinano ed organizzano le trame dei grandi infissi stijliani dell’Aula Magna.
Questi elementi vengono assimilati, interpretati, metabolizzati, ripresi.
Sul colore materiale, van den Berg ha incentrato la propria ricerca.
Dapprima raccogliendo, ordinando.
I frammenti degli intonaci caduti, che sciolti in acqua son colore puro.
Imbustati, archiviati.
Poi, in un secondo momento, con la pratica.
Il recupero di una vecchia carta, rinvenuta in Colonia, offre all’artista il medium d’azione.
Fatta a pezzi, frullata nell’acqua, con la tecnica “mould and deckle”, esse diviene la base del lavoro proiettato.
Una prima polpa basica, poi integrata, attraverso l’uso di un telaio, con una garza, per (ri)creare unuova na carta integra.
Le misure dei fogli ricavati corrispondono alle quelle delle finestre quadre che ritmano lo spazio della Colonia, e che ad esse, in un’installazione realizzata, si sovrappongono, creando filtro e membrana (la luce alla montagna: be light, Mr. Berg). Il motivo geometrico s’ntetizza l’impianto rigoroso di Gellner: rigoroso e in dialogo continuo col contesto ambientale.
I colori che prendon le carte, si originano dunque dagli intonaci originali, colti dalle pareti o dal loro piede.
Questi colori specifici, insieme al quadrato, rappresentano dunque una certa essenza sintetica di Gellner a Borca.
I colori, riportati della carta, sembrano stinti, schiariti, rispetto agli intonaci originali.
Evocano l’idea del passaggio di un tempo, in cui il colore, progressivamente, diventa luce.
Ma questo flusso mai s’è interrotto.
L’alleggerimento cromatico però non è testimoniale: luce che filtra, sempre aurorale.
Un secondo primo crepuscolo (quel del mattino).
Nel giuoco delle trasparenze su vetro, la delicatezza loro ancora s’accende.
Un po’ come il Re a sera (l’unico secondo crepuscolo qui): forte e gentile l’incendio (be light, Mr Antelao).
Foto: Nicola Noro