Scatti in copertura delle rampe, DCPULSAR.
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27/29 ottobre 2023 / Openstudio PULSAR di Dolomiti Contemporanee in Progettoborca.
A questo link fb alcune immagini e non poche, di Teresa De Toni la maggior parte, e degli altri poi tutti.
Diciamo qualcosa dunque, dell’Openstudio.
La solita cosa? Per chi si è abituato? In realtà a quest’insolita solita cosa non ci si abitua, crediamo noi.
L’Openstudio è da sempre una grande pulsazione, un momento lungo, stirato prolungato, di cento ore circa nella fase apicale sua della tre giorni DIS-TESA che raccumula un anno di produzione, nel corso del quale Openstudio si accendono le cose mai spente, ovvero si mostra un poco del lavoro, dei processi, delle impigrizie, dei progetti e delle opere, dei sommovimenti, delle visioni, che durante tutto l’anno vengono sviluppati nel Campo Base dell’ex Villaggio Eni di Corte, da tutti coloro che vi vivono e vi vengono, traverso la Residenza, a far cose sensate per una Montagna non postribolare, che urta e spinge e misura e intesse mentre sponta rimonta, e canta, salendo.
E, come al solito, ripetiamo che qua è impossibile raccontar tutto di quel che è stato messo in rete (rete intesa come etere vibrante o membrana-tamburo), e che l’unico modo per comprendere questo posto, le idee che lo animano e che da qui volan via a riscalare lo Spazio stesso, le pratiche, le opere, le scosse, la contravendita: quell’unico modo è venirci, a prendere in sé qualcuna delle protrusioni generate (non come gobbe, ma come code sferzanti), spesso contribuendo ad amplificarle, diffonderle, ribaltarle: qui non ti lasciamo solo ascoltare: devi prendere posizione. Nello Spazio, appunto.
Un rapido racconto.
Venerdì 27 ottobre ’23, abbiamo condotto i primi gruppi sciolti di visitatori, riaggregati in falangi, in giro per la Colonia, e avevano antenne segmentate lunghissime cerambice, che muovevano nell’aria e poggiavano come sensibili bocche-pompa agli oggetti e alle parole, per auscultarli e sprigionarne le piccole sacche di siero d’aculeo psicromico.
Gli artisti eran pronti altrochenò, le persone giravano, gli spazi accesi, tutto iniziava a muovere, la circolazione riattivata, le energie riversate a fluire, rinzaffi di plasma, rami di lava tra le crepe spalanche.
Visitati alcuni studi, quindi un saluto pomeridiano al refettorio, nello spazio Inestinto di Repetto, giunti dalle città ci si reincontra sempre qua, ognun fa la sua parte, cozzi di teste: ma non si sversa un goccio del magma cerebrale.
Inestinto, Giovanna Repetto. Qui un the serale al terrazzo dello Spazio.
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Quindi azione Prometheus Open Food Lab, e Lorenzo Barbasetti di Prun, insieme a Ludovica Menardi, ha acceso le griglie, così si è mangiato e bevuto. Le cose raccolte in terra e nel bosco e dai partner nei giorni prima, GLITCH. Formidabile l’hamburger di pastin d’asino, le patate e il popcorn con la fonduta, sorbo dell’uccellatore ed altri conzanti strutturali ridesti, questi sapori forti e buoni, che stupiscono i palati, mentre roteano i bulbi mastichi coi denti in gengiva del cervello, sul retro dell’Aula Magna, anche qui tra i fuochi le persone si parlano e sono tante, e quasi tutte hanno idee o proposte o convergenze da verificare e attuare: le verifichiamo, le spingiamo, tutto buono, molto bene.
Lorenzo Barbasetti di Prun in Prometheus Open Food Lab con Glitch_en.
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Dentro, l’Aula Magna è stata un laboratorio di pittura viva, per mesi e mesi. I lavori di Nicola Facchini, Anna Furlan pistole, Bohdan Koshovyi verdecemento del paesaggio, Daria che ancora dipinge, Sebastiano Pallavisini, mentre Gambassi era precipitato ma ora la saggezza gli si riversa al polso dal bastone e Presto Predicherà Silente, Nebo è venuto ed ha portato il compleanno della moglie colle figlie, Erica Mia ed Emma, mentre Thomas Braida, che sapeva che avevamo da poco scritto alla Meloni, ha portato due Meloni, e insomma l’Aula Magna l’anello epicentro rotante di tutto un sistema? Ma avanti dai e non essere schematico.
Alle 21.30, a drappelli e gruppi e branchi al dormitorio inshantato, dove Fabio Talloru ha sonorizzato e performato Sale Calante di Caterina Erica Shanta, 19 minuti, vedrete poi gli estratti video. Quel dormitorio è rimasto così allestito anche nei giorni seguenti.
Caterina Erica Shanta, Sale Calante.
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Niente pioggia, notte fresca, tutti salvi, sparsi tra le ville, il campeggio, la tana degli uffici, la Colonia. La luna ha ingaggiato il cielo del bosco. Le luci fuori dai meandri luminati dei bracci dell’architettura, a tirar le linee alla foresta sotto alle cime.
La Chiesa di Nostra Signora del Cadore, l’avevamo chiusa poco prima: nel finesettimana ha ospitato la mostra sensibile e gentile e giusta e assai calibrata di Fabio De Meo e Giovanna Bonenti, che accanto e insieme a Gellner e Scarpa possono starci eccome, e ne verrà poi un’edizione e la vedrete.
Fabio De Meo e Giovanna Bonenti con Una Formica in Cielo, Chiesa di Nostra Signora del Cadore.
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E’ venuto quindi il sabato e le piogge degll’ultima settimana si son ritirate (tranne che dal PelmOceanico di Mastropieri), ed è durato un tempo lungo, imprecisabile, denso, sparso, frammentato e ricomposto, tempo lungo a fluire che vive e gira ed ecco uno Spazio agito in riflessione; nel flusso dell’esserci e del fare girare, che è lo spin d’innesco della Colonia placidamente rutilante, questa rotazione imposta ogni anno ed ogni volta, come girare quella macina pesante, per accorgersi ancora che non è affatto ingravata nelle ruggini, sta macchina abissata; che i suoi meccanismi son calibrati ancora, ed efficaci, lo senti; che è sufficiente imprimervi un buon moto, e che già osservarlo, questo moto, se sei attento, significa collaborarlo (esservici), altrochè sacello immoto o residuo tremolato: su le vele spiegate ai venti stellari, e un gran numero di stelle binate doppie e multiple, che non si mordon la coda, ma mettono fuori le scie e le cortecce meteoriche.
Di giorno, abbiamo fatto i talk, in Aula Magna e in terrazzo, e i talk si sono insinuati l’un nell’altri, e il ragionamento su come si cammina, si corre e si scala qui nelle DC, era un’adunata calma, un po’ perché qua studiare è dichiarare, analizzare è pensare ai moti propulsivi, muovere non è una ginnastica, mettere insieme non è riempire scodella o cesto. Quindi Il PNNR è entrato e uscito dai territori, nei discorsi, toccando Cidoli e Xiloteche, restauri e rilanci d’apertura, programmi di rigenerazione e metodologie della formazione, mentre i fiumi salivan montagna, come in #DelleForesteedelleacque a Casso, e i Castelli rotolavano alla bolognese (con noi anche Andrea Renzini e Eleonora De Mattia, e domenica abbiamo disallestito #Castelloaorologeria al Castetto di Andraz, e pioveva di nuovo, ma ancora non è freddo, non lo è); i talk non van qui riassunti: è impossibile perché sono un flusso, non una posizione (Heisenberg).
Mentre parlava Tommaso Anfodillo, abbiamo conosciuto Paolo Biadene, che aveva ben conosciuto Gellner; e abbiamo conosciuto un sacco d’altra gente, che ci ha regalato diverse caramelle, diverse delle quali alla menta.
In giro c’eran le cose tutt’attorno: piccolo nel grande Space Days Vol. 3 qui: una specchiatura della compressione di Casso nell’amplificatore spaziale di Borcia, questo per Fabiano de Martin Topranin certo, ed anche per Maximilian Glass, che dopo due settimane in residenza nel Vajont, qui ha dovuto ricalibrare il proprio motorino interiore: e l’ha fatto, benedetto francèsen.
Maximilian, che come il bostrico, il feromone, il cervo, le persone, ha interagito con la sedia di Stefano Collarin, come si crea la strada questo careghettismo sintetico del design minimo attrattivo: forse anche il mettere può assottigliarsi in un levare.
Sabato quindi, dalle 16.00, fuori i suoni.
Dapprima Maximilian, che al refettorio ha mostrato, e fatto sentire, le risonanze circolari dei propri oggetti-motore installati, i loro delicati suoni-movimento.
Da lì anche, a visitare Sessanta pecore circa di Valentina Cima, ancora uno spalanco imprevisto di frogia a cambiare un’inerzia olfattiva: come la pastasciutta di Marta Allegri alle ex religiose, tutto uno spandimento, rimescolamento dei flussi sensorei.
Un lavoro di Maria Giovanna Zanella allestito in Colonia per PULSAR.
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Poi siamo scesi al cinema, che alle 17.00 partivano gli HH. E ne siamo usciti alle 2.00, forse le 3.00.
Gli HH hanno presentato in anteprima assoluta e sempregalattica il loro disco nuovo: niente da dire se non c’eri, ma che bravi.
Poi Giuseppe De Benedittis ha suonato l’organo-piano-scultura di Nicola Facchini, ed è stato un signor concerto e ben vibrante quello, non c’eri, non vedi, se non alzi la testa non vedi la Pulsar.
Poi son venuti i live-set con i visual: Stefano Caimi, armatospitale come sempre lo studio in Capanna Bassa, ha portato la seconda parte di Gellner Encoder, ecco fiorire le lamiere ritorte dai venti sui tetti dei dormitori della Colonia (l’apparenza giocosa, fuori dal lavoro di Stefano che invece è dinamico-filologico – di un neogherysmo autoinstallativo estemporaneo situazionista, specie di ganascia mordigellner, togli quella dentiera e ristabilisci l’ordine, poi qui non ci dev’esser né un giuoco, né un acquario); quindi Tallo, con Acusmatopie 1991 + 2; quindi Mario Tomè, con la sua sessione Techno Old School; poi alcuni altri strappi nel buio, e tutti a dormire ancora sott’ai’tett’inforesta, e avanti.
Domenica: il cordofono-Colonia non è uno strumento che suoniamo, ProgettoPiffero, ma la vibrazione, quando la scateni, prosegue, non si tratta di echi o sighiozzi: va col suo calore, come rinserrar le viti, ne senti il palpito, quella sensazione si spande, e tu la senti, è una riaccensione bassa, che divora la radiazione fossile, per reinspessirne l’impianto.
Il Cannone PULSAR di Tallo in Casa Cametti ha espresso molte cose, da quella tribuna sul paesaggio, Leo in consolle, spargimento vocale.
Ai dormitori M, nei paraggi del Laboratorio di Casabella, erano allestite quattro mostre: le han messe su Sebastiano, Valeria, Anna, Nicola.
Una coi disegni di Seba, Anna, Giulia Maria Belli, Francesca, sul tavolo di Casabella e a parete, vicino ad una Madre di Valeria.
Quella sopra, nel dormitorio sgombro, teneva anche i lavori di Alan Silvestri (quella sospensione sopral’letto fatta la scorsa estate in residenza dopo Casso), di Francesca Pieropan (su pelle), di Ariele Bacchetti e Nicola Facchini, di Marco Mastropieri (Le Rocchette e lo Squalo; le due pulsazioni crepuscolari opposite di Pelmo e Antelao); e ancora alcune (muliebri) ceramiche di Valeria Pin e di Maria Giovanna Zanella (a ghermire), la Cipessa che invece ha allestito le sue carte grandi a parete andando verso il dormitorio Shonico di Caterina, che agli ex alloggi dirigenti aveva risistemato pure la Stanza di Misha; quindi per veder tutto devi camminare e hanno camminato eccome; e ai dirigenti hai trovato anche la mostra personale di Alessandro Pagani dedicata all’Orso; e quella di Elena Majerotti dedicata a Burrei; oltre allo storico studio di Catia Schievano, che procede, eccome se procede;
Catia Schievano illustra ad un gruppo il proprio lavoro nello Studio agli ex alloggi dirigenti.
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Sopra anche (siamo tornati col racconto filamentale ai dormitori M) una piccola personale di Alessia Armeni incentrata sulla sua figurazione del Bostrico.
Artist Talk l’avevamo scritto per prenderti per il culo: chiunque accetti quell’espressione trita è una moeca, abbiamo rotto la definizione, e siamo andati avanti e in giro per Colonia e Villaggio, con tutti quelli che vi han circolato, e noi siamo ancora qua con gli occhi aperti.
Manc’alcuni, tra un po’ vedi anche Trip Trap (Ephemeral), riviamo.