La conquista dell’inutile
Il villaggio Eni, abbandonato e silenzioso, è avvolto dal bosco circostante che è cresciuto nel tempo.
La natura si sta impossessando degli edifici ma senza tanto chiasso.
Gli spazi interni, inanimati e silenziosi mantengono una pulizia senza storia:
pochi segni della vita passata,
tappezzerie pulite, legni intatti, mobili conservati perfettamente, pavimenti con poca polvere,
solo rari disegni di bambini e schede tecniche di soggiorno
testimoniano un qualche periodo trascorso nel villaggio.
In questa calma metafisica,
nonostante vi siano numerose aperture dall’esterno,
gli animali non entrano e pochissimi insetti hanno nidificato,
i tarli non hanno forato la legna, poca ruggine nel ferro e poche ragnatele.
La struttura invece,
così antropomorfica e razionale,
sta subendo degli attacchi dal paesaggio:
La pioggia entra e la terra/suolo si muove,
crepe di assestamento dissestano forme strutturali,
Le malte cedono e i muri si scrostano,
la materia inerte decade generando indici di nuove forme vitali.
Il rigore estetico della struttura viene lacerato come un’ epidermide fragile
che protegge e nasconde la verità del tempo nell’ ipoderma.
In questi particolari logorati, dissestati e instabili
intervengo con precisione per far emergere dai segni una natura diversa e selvaggia.
Il mio compito è quello di togliere da questa superficie pochi frammenti di materia e
lasciare intravedere il miraggio dell’ invasione della Jungla.
La peripezia dei calcinacci attaccati alle pareti precariamente,
crea pareidolia nel mio sguardo/pensiero.
Gli spazi negativi e positivi,
il rapporto tra la bidimensionalità del disegno e la tridimensionalità della materia
dialogano nel mezzo, al centro dove le cose crescono,
creando nuovi orizzonti.