Far filò parte dall’analisi della figura di Enrico Mattei, e dalla sua visione del lavoro come sommatoria di tutte le forme di dignità della persona, in ciò includendo – in particolar modo al villaggio e nella Colonia ENI di Borca di Cadore- oltre all’adulto il bambino.
Il Mattei imprenditore ha avuto una funzione aggregante durante gli anni della ricostruzione post-bellica sostenendo lo sviluppo economico grazie alle sue lungimiranti politiche energetiche. Egli si è opposto con forza alle potenze vincitrici che volevano appropriarsi delle nostre risorse naturali vedendo in esse la base per il riscatto economico di un’Italia distrutta e frantumata nella sua dimensione sociale.
Un Mattei che coniuga costantemente i due livelli, quello economico e quello sociale, per unire ciò che per lui era insopportabilmente diviso e quindi, come conseguenza, disperatamente svantaggiato. Per questo ha voluto che una grande autostrada, costellata di luoghi di sosta e di aggregazione, per unire il nord ed il sud dell’Italia frammezzata da secolari divisioni.
Dall’analisi di questo luogo, altamente simbolico, ha origine “Far filò”, un viaggio consapevole lungo l’Autostrada del Sole, che analizza i passaggi fisici e storici. Cruciale è il passaggio a Bologna, si introducono tematiche politiche legate ad alcuni dei grandi misteri della storia d’Italia del dopoguerra. Bologna crocevia di questi enigmi : il DC-9 caduto a Ustica; Pasolini, studente nella città felsinea, forse ucciso poco prima di svelare notizie esplosive per il mondo politico ed economico che riguardavano proprio l’ENI e la morte di Mattei.
“Far filò” vuole farsi carico, dunque, di una coscienza civile forte ricordandosi sempre cosa sia lo Stato per i cittadini e quale significato possa avere fare arte quando questa diviene, senza dubbio, anche azione politica.
Proseguire per Borca, alla volta del Villaggio ENI, significa anche andare verso i luoghi del Pasolini giovane.
Inizio silente, dunque, che accumula significato e senso politico amplificandone la portata lungo il percorso.
Un tentativo di raccontare un luogo del passato, ma costruito con lo sguardo proiettato nel futuro, in un oggi consapevole grazie a quella parte di storia.
Le Dolomiti, ambiente espanso e in-quantificabile e simbolo di verticalismo, che diventano dunque luogo di confronto e di incontro.
Nel luogo, come in una comunità si riprendono le individualità, stando insieme.
A Borca riporto il mio filo, un filo che ha percorso l’Italia, che ha messo punti di sutura, tra storie e uomini durante il viaggio:“far filò”. Dalla precedente visita al villaggio dell’ENI riporto un paio di pantaloni di bimbo blu, lavati stirati e ricamati che diventano simbolo del mio prendersi cura, di un abito, di un luogo, di un racconto di vita.
Vecchio dialetto che hai nel tuo sapore
un gocciolo del latte di Eva,
vecchio dialetto che non so più,
che mi ti sei estenuato
giorno per giorno nella bocca (e non mi basti);
che sei cambiato come la mia faccia
con la mia pelle anno per anno
(…)
Girare mi dà fastidio, in mezzo a queste macerie
di te, di me. Dal dente accanito del tempo
avanzi non restano nel piatto, e meno
di tutto i cimiteri: devo dirti cimitero?
E’ vero che non può più esserci oramai
nessun parlare di néne nonnemamme? Che fa male
ai bambini il pètel e gran maestri lo sconsigliano?
(…)
Ma tu vecchio parlare, persisti. E seppur gli uomini
ti dimenticheranno senza accorgersene,
ci saranno uccelli
due tre uccelli soltanto magari
dagli spari e dal massacro volati via:
domani sull’ultimo ramo là in fondo
in fondo a siepi e prati,
uccelli che ti hanno appreso da tanto tempo,
ti parleranno dentro il sole, nell’ombra.
Andrea Zanzotto, Filò. Per il Casanova di Fellini, Mondadori
Inizierò a sistemare, a pulire, a lavare lo spazio che ha contenuto questi abiti, ovvero la lavanderia e gli abiti che lì troverò; sistemerò gli armadi come se fossero miei, laverò i vestiti, li stirerò con estrema cura consapevole della loro importanza. Lo spazio tornerà ad accogliere la vita attraverso gli abiti.
Prima di questo intervento nella Colonia contatterò gli “eniani”, i bambini che vi hanno soggiornato nel corso dei decenni; chiederò loro di inviare a Borca gli abiti di allora o gli abiti dei loro figli o nipoti. Il luogo, in questo modo, si riapproprierà delle energie del tempo e le vite torneranno ad occupare lo spazio attraverso lo spazio. La Colonia tornerà quindi ad essere loro per mio tramite.
Così si tesse un filo che passa tra le genti, per tornare a Borca, dalla metafora alla fisicità, tra abiti e tessitura, tra trame e storie. L’ultimo punto, l’ultimo tassello, il suturare una ferita quella tra i valligiani e la Colonia. Come abbiamo registrato le storie del viaggio, analizzato la storia politica, considerato e valorizzato i passaggi dei piccoli eniani, ci sono le storie e le vite di chi viveva quotidianamente quella terra; è con loro che vorrei ricamare una bandiera ponendomi in ascolto; è con le donne del luogo che vorrei passare il mio tempo, imparare da loro i punti di ricamo o cucito tipici della zona ed ascoltare i racconti, le storie, come vivevano la presenza del Villaggio ENI; registrare i dialoghi ed insieme ricamare una bandiera che diverrà simbolo di un viaggio, di unione e di comunità.