Marcella è nata a Ragusa. Suo padre lavorava per l’Eni. Nei primi anni ’80, quando lei ne aveva sette, scoprì il Villaggio di Borca. La sorella maggiore vi era già passata. Nei quattro anni successivi, riuscì a tornarci, e trascorse quindi diverse estati tra la Colonia e il campeggio a tende fisse. Due settimane ogni estate: questa era la durata del periodo concesso ad ognuno dei figli dei dipendenti Eni la cui domanda veniva accolta. Il Villaggio, e la montagna, colpirono con forza l’immaginazione di questa bambina siciliana, che maturò una risoluzione precoce: “…ho desiderato di venire a vivere in questi luoghi da subito. Mi sono promessa di farlo forse ad undici anni…“. Oggi Marcella vive a pochi chilometri da Borca, e insegna a Cortina. Ieri (31 dicembre 2014), è rientrata, dopo 30 anni, nella Colonia, con progettoborca. Ritrovando le proprie nostalgie, memorie, immagini, emozioni. Insieme ad un progetto che vuole andare avanti, nutrendosi, anche, di tutto questo.
MGP: Si guardano le stesse cose ma le stesse si leggono con gli occhi della conoscenza e dell’esperienza. Quelle inquadrature rappresentano per me i giochi di prospettiva che facevo da bambina. Non capivo mai perché quelle finestrelle quadrate avessero una disposizione “casuale” , e non riuscivo mai ad individuare la finestrella vista dall’esterno con quella vista dall’interno. Ricordo che una volta chiesi ad una bimba di restare affacciata in una di esse, ed io uscii fuori per capire quale delle tante fosse….La foto del tetto sporgente con il mensolone invece mi ricorda le volte che cercavo di far coincidere gli spigoli…e come per magia mi resi conto dell’inganno della vista: quando sembrava coincidessero (lo spigolo del mensolone con quello del tetto) chiudevo l’occhio sinistro e la coincidenza conquistata svaniva: lo spigolo del mensolone si spostava a sinistra e viceversa quando chiudevo l’occhio destro. Anche in questa foto non sono riuscita a farli coincidere…. Ho apprezzato quell’architettura in maniera spontanea, in un’età dove non si giudica il bello ma si assimila in maniera naturale. Chissà che Gellner non avesse in mente di stimolare la curiosità dei bambini con quelle insolite costruzioni visto che erano loro i principali fruitori… ci ha donato anche dei colori abbinati. E tutti quei muri e pilastri di cemento color cemento mi davano l’impressione di qualcosa di incompiuto… ogni anno quando tornavo speravo avessero preso colore e invece rimanevano sempre color cemento. … sono davvero circondata da mille sensazioni quando mi trovo in quel luogo… è lì che risiedono i rudimenti della mia passione per la montagna in generale e per le Dolomiti in particolare…
Marcella Giulia Pace