Il poligono di Caralte (Perarolo). Accumulazione di ghiaie.
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Non ho dimestichezza con le montagne e durante il viaggio queste mi sovrastano, mi cadono addosso, ma
io ho sempre cercato un punto di vista che fosse allo stesso livello delle cose che dipingo, con le linee
verticali parallele ai bordi del foglio.
Ancora nel tragitto vedo a sinistra la segheria e a destra il letto di sabbia del fiume. Capisco che 1. qui le
cose hanno un metro che va al di fuori di tutto e non potrò mai prendere me stessa come unità di misura, è
una terra di microbi e giganti, e 2. tutto si organizza e dispone secondo vuoti e accumuli, di ogni cosa o
non ce n’è o ce n’è cento.
Confido ancora in una dimensione umana nella capillarità del progetto di Gellner. Quando arrivo però mi
rendo conto che questa è un’opera dal respiro grandioso come le montagne, poi pensata in ogni minimo
dettaglio e quindi perfetta, conclusa.
L’unica speranza di azione è nello spazio vuoto che intercorre tra il progetto e il presente – gli imprevisti
del percorso nel mezzo, le forme smussate e corrose che suggeriscono altro, rivelano immagini fugaci e
mi assegnano il compito di fissarle.
Mi chiedo se sia più assurdo che questo posto sia stato costruito o abbandonato; ed è entrambe le cose per
motivi diametralmente opposti. Non voglio trovare una risposta al paragone perchè se il senso civico mi
fa schierare da una parte, l’egoismo dell’artista è conscio che senza questo epilogo non avrei trovato niente
da dire.
Ho bisogno di tempo per digerire tutto questo, è una proteina complessa che deve essere spezzettata tante
volte prima di poter essere utilizzata.
Nuvola Camera, luglio 2023