Interrompiamo il silenzio con la nostra presenza, attraversiamo le stanze una dietro l’altra, soffermandoci per far foto e considerazioni sullo spazio, sulle forme, sulla struttura.
Mi sento una turista, un voyeur. E per questo sviluppo un improvviso pudore che mi impedisce di prendere le misure reali dello spazio,
che non sono in centimetri ma in gesti. Vorrei correre, perchè qui ci sono stati dei bambini, perciò se penso bambini penso alle corse nei corridoi. Vorrei sdraiarmi per vedere il soffitto, nelle camere dove probabilmente questi soffitti erano abituati a molti sguardi (NDR: miriam sta attraversando la colonia, il refettorio, la ludoteca, l’aula magna, i dormitori, gli spogliatoi, il cinema).
Questo luogo ora non vive, non è un luogo perchè non vi accade nulla, ma è stato costruito per essere qualcosa di specifico.
Se non si entra con cautela e lo si tratta come un cadavere, probabilmente resterà un cadavere sventrato, su cui fare esperimenti.
Prendere le misure può essere anche frequentarlo con i gesti che sono stati un tempo consueti, riattivarlo attraverso l’affetto e poi modificare la sua forma dall’interno, quando finalmente non si è più estranei.
Miriam Secco