19/25 ottobre ’24 / FORMICHE / Personalini di Fabio De Meo alla Bagagliera (Fondazione Malutta)

Formiche, Personalini di Fabio De Meo
19/25 ottobre 2024
Bagagliera ex Stazione ferroviaria di Borca di Cadore
La mostra fa parte di Discovering Bagagliera
che è un programma di Fondazione Malutta

Formiche è un dipinto grande. Troppo piccolo, comunque, per parlare di un organismo enorme, spropositato come le formiche. Le formiche esistevano molto prima dell’uomo (100 milioni di anni fa) e ricoprono oggi una posizione predominante nel mondo degli insetti; le formiche colonizzano le zone centrali dell’ecosistema, tutti gli altri insetti sono relegati ai margini, nelle periferie. Le formiche, esattamente come l’uomo, sono riuscite a crescere esponenzialmente di numero, divenendo la specie di insetti col maggior numero di individui. Una prova di questa evoluzione è la loro biomassa: se prendessimo tutte le formiche esistenti sul pianeta e le mettessimo su una grande bilancia, il loro peso sarebbe quasi uguale a quello di tutti gli esseri umani del pianeta.
Uomini e formiche hanno ottenuto questa predominanza grazie ad una specifica qualità che li accumuna: la comunicazione.
Le formiche comunicano messaggi tra di loro attraverso il tatto ma soprattutto attraverso gli odori (i feromoni): fino ad una ventina di diverse sostanze chimiche secrete da varie ghiandole disposte su diverse parti del corpo. Questo complesso sistema comunicativo genera una vera e propria “sintassi chimica”, un linguaggio complesso in grado di generare cooperazione, divisione di ruoli, compiti, cura della prole, costruzione di infrastrutture, risoluzione di problemi di ogni sorta, istruzioni, modalità operative, allarmi… La comunicazione trasforma una colonia di formiche in un un unico, grande organismo di massa, in cui non esistono singolarità di alcun tipo. Persino la formica regina, l’unico esemplare della colonia adibito alla produzione delle uova, dipende dalle operaie che la nutrono e la mantengono in vita. Potremmo definire una colonia di formiche come un grande organismo quasi totalmente femminile composto di diversi organi: la regina è l’utero, i pochi maschi servono alla produzione di spermatozoi, le operaie sono le braccia, le gambe e lo stomaco della colonia, rielaborano le sostanze nutritive ridistribuendole capillarmente, facendole circolare di bocca in bocca come un sistema circolatorio linfatico, le sentinelle sono il sistema immunitario in grado di eliminare gli intrusi e così via. La distribuzione dei ruoli e la cura della prole sono le caratteristiche di una struttura sociale che mira allo sviluppo e all’incremento continuo della colonia e la rende un organismo privo di individualismi, in cui ogni elemento può essere rigenerato e rimpiazzato a seconda delle necessità, compresa la regina. Proprio per questo possiamo intendere una colonia di formiche come un superorganismo in grado di essere potenzialmente immortale.
Un’altra cosa che sicuramente accomuna uomo e formiche è l’organizzazione sistematica della violenza.
Le formiche possono dichiarare guerra ad altre colonie, sono capaci di organizzare la loro cattiveria attraverso un’aggressività formidabile e sono in grado di pianificare strategie militari degne del Duca di Wellington; schiavizzano le formiche rivali e le costringono a lavorare nei loro formicai, compiono vere e proprie campagne militari di conquista e sopraffazione, spruzzano veleno e acido formico come fossero dei kamikaze, delle bombe ambulanti che sacrificano se stesse per la sconfinata brama di conquista della colonia. Se le formiche avessero la possibilità di disporre di armi nucleari le utilizzerebbero senz’altro in modo massiccio, accenderebbero razzi atomici senza alcun ritegno.
La capacità comunicativa è quindi un’arma a doppio taglio? Le abilità e le caratteristiche che causano il successo di una specie sono le stesse che la condannano ad un possibile declino?
Il dipinto inedito in mostra rappresenta la sezione di un formicaio, visto come una serie intricata di corridoi e camere (le dimensioni di alcuni nidi di formiche possono superare di molto i 48 metri quadri del dipinto in mostra) in cui troviamo molte immagini che raccontano storie differenti: il dipinto si divide in tre parti tematiche unite fra loro; c’è la scienza nel centro, la filosofia a destra e la violenza a sinistra. Le storie raccontano di uomini, animali, piante e vanno a formare un racconto collettivo in cui non esiste un centro o un punto di vista privilegiato: tutto si mescola correlandosi e completandosi. Nessun elemento predomina sull’altro.
Questo lavoro è un labirinto di immagini e parole che si susseguono in strade tortuose, in oscuri cunicoli sotterranei che vanno a formare un corpo unico, un unico paesaggio, un unico racconto.
I testi e le immagini sono tratti da varie letture: il dipinto si ispira principalmente ad un grande classico della mirmecologia Journey to the Ants di Bert Hölldobler e Edward O. Wilson, ma sono numerose le altre fonti prese in considerazione che spaziano dalla divulgazione scientifica, alla filosfia, alla poesia. Ciò che conta è che questo lavoro nasce dai libri, dalle parole; potremmo definirlo come una grande lavagna in cui è mostrato uno schema visivo, una mappa concettuale o una sorta di sistema mnemonico che si lega ad una concezione didattica dell’immagine fatta di appunti e citazioni visive. Il quadro è come un documentario o un cartone animato in cui immagini e parole si susseguono e dipendono l’una dall’altra; non è in grado di parlare attraverso un’immagine unica, centrale ma si esprime attraverso una rete visiva: un’immagine di immagini potenzialmente infinita, una rete formata da infiniti centri narrativi.

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