A novembre 2020, all’ex Villaggio Eni di Borca di Cadore, sono venuti (son tornati) i vandali, e i ladri.
Dalla Valle, e dalla Germania.
Chi sono?
Che fare?
Ecco che ne parliamo.
Sto testo è così articolato:
1) Premessa: difficile per chi non si concentra.
2) I nudi fatti, chiari e semplici da capire per chiunque (ma leggi la premessa), e la consequente, sacrosanta reprimenda.
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1. Premessa
Vandali o nconsapevoli esploratori del proprio sommo vuoto interiore, che non è uno Spazio? (è piuttosto: un tetro anfratto deteriore del Non Esserci, che misero si oppone alla pienezza del buon pensare e fare: che invece sono i picconi antiscelerotici, che urgono, come pattini filati sul ghiaccio mobile della mente vasto acrocoro selvaggio senza binari e puro gelido sciolto in carezza di sangu’esonda, mica na docile ngenua tenerezza).
Spazio infatti per noi, non è un vocabolo topico relato a luoghi e argomenti. E’ invece una parola aumentata (e lascia stare il digitale vah): Spazio “è un luogo, ma questa parola è ambigua, quindi definiamo meglio, e peggio per te se campi a sbadiglio nel sonno pliociotto d’una sintassi sdraiata d’amaca…
“è un luogo dunque, o, nella fase precedente sua d’oblio, un non-luogo, o luogo perduto (un tempo fulgido e poi), o deperito –qui perdita è perdizione-, che, in virtù di una vibrata visione critica propositiva (terzo tempo di scossa), di un impegno scintillante, di un Esserci, di un fare responsabile efficace, di un rifiuto (sdegnato diremmo, se così non sembrasse una tromba) d’inerzia, di un’antibaccicanza (la baccicanza è un’antiluccicanza inluminescente: quelli nani che non hanno le capacità sensoriali, lo shining), di un non panozzismo, di un contracoronismo…
“che dunque si sveglia (il mezzospazio si rispazia, finalmente), riacquisisce significato, torna a vivere e gemmare e sprigionare e splodere (orografia culturale contemporagna), perchè, avendone NOI cura (non noi presi per decretatori saccenti autoprocalamati legislatori immaginativi panici; intendiamo invece: noi tutti interdipendenti -ridicoli anche costoro e non pochi che usan definirsi indipendenti e militanti, con ciò incastrandosi tangheri in un angolo recinto suntuoso ottuso egoico e sindacalistico…
“noi tutti in consorzio; ovvero noi e tutti i partner, che son centinaia, e che aggreghiamo all’idea e all’impresa che condividiamo e rilanciamo, NOI che, avendo di questa chiara risorsa ben chiaro e distinto il valore frustrato, costruiamo i meccanismi che portano l’idea a uscire dall’Hangar 18 e a correre, l’idea della sua -dello Spazio- sopravvivenza e restaurazion’e ri/scossa, ecco; e così avviene che noi tutti agiamo e proponiamo e instauriamo e spingiamo le procedure, sperimentali e/o argute, che han l’obiettivo di rinsavirlo, rivalutarlo, recuperarlo.
E questo obiettivo, diciamo abitualmente, è sempre Pubblico, ovvero generoso a favore di chiunque (tranne che del Perfido Idiota micamiskiniano Magù e degli Altri Cortigiani della Mutua Mentale, spazioLa-trina, Eresia di Cecità), e non Privato, ovvero tignoso o professionale o d’incarico, ragionierstico geometrile stitico rattenuto, a prescindere dalla legittima proprietà del Bene. Perchè?
Perchè il Valore di questo Bene è appunto tanto grande ma non inaudito, la sua Massa potenzialmente tanto aperta e utile, da poter Servire l’intero Paesaggio e i suoi abitatori e fruitori, e non un singolo proprietario (col quale sempre andiamo d’accordo, altrimenti salta tutto, questo è ovvio, e infatti, se non si è bene allineati e per davvero, a volte perlappunto salta mesto, come qua per esempio, e vergognatevi.
I paradigmi positivi van sempre evidenziati: come anche quelli negativi, se non sei timido o trascurato e fiacco e vuoi dire solo la verità).
I siti come quello di Borca sono totipotenti, natiespansi, benesplosi, splosinsorriso, oh, hoi, il sorriso consapevole non è compiacente: micaestinti.
Sono stazioni logistico-culturali funzionali-erogene che è necessario riprofilare riprocessare in terra, che possono e debbono rifiorire in terra, a favore della terra: e la piccola terra camusa è vasta, e include i cieli verticali slanciati dell’immaginazione, che l’occhio da aprir nel cranio espande propaga come un liquido estuario maculare (fiume visione), mai rappresa.
Con Spazio quindi e ancora non si intende un qualche prelibato sontuoso quolinoso sito-oggetto da mettersi portunisticamente in scarsella o sott’all’ascella banchettandolo o a curriculum, ma un sito depresso e potente lampant’e latent’e per tutti (di tutti), “aumentato” di un progetto, che non è una carta da parati (La-trina) ma un’attitudine radicale e limpida al conferimento del giusto valore agli enti, nel bene e nel male: se una cosa vale molto, lo diciamo (è un libro; è una poesia; è La Letteratura e non la narrazione: è un’architettura; è un paesaggio); se una cosa (o persona), dimostra di valer poco o niente, lo diciamo (è giustizia, è la critica; altro canale non varicoso, della generosità, dato che da: visibilità all’empio inadeguato anfibio); se una cosa (ad esempio una grande chitettura impantanata incistata decarnita fossile) vale molto in potenza ma poco o nulla nell’accelerazione verticale, nella realtà presente “un’architettura, in generale, è un circuito è un’increspatura generativa del senso che si leva dal suolo piatto, è una nascita un’intensificazione litificante antiframmentazione a grappolo, non un ristoro o segnaposto: eccolo qui il nostro lavoro: far coincidere i due valori; riassorbire la distrazione colposa, la distanza disastrosa; ciò significa: dire (e fare) una verità.
In virtù di scelta e impegno e capacità e persistenza, si determina dunque un costrutto reale organico binario binato dinamico omogeneo lavico scientifico candescente, che è fatto (e facente) composto delle due parti: l’elemento oggettivo (sito fallito inghiottito o sconfessato sbiadito ingrippato craterizzato imbecillito imploso, la cui luce evidente è rimasta prigioniera d’una lampada cieca, mentre fuori dai vetri neriti quattro anziane falene apatiche –gli spiritrombi spaghettificati ai garretti- battono piano e piano e quel volo librato è a scemare ad estinguere); e l’elemento discernente-operativo, ovvero il progetto, chiamalo come vuoi e puoi, la pratica, i processi, le reti, la fiducia, la spinta, l’esserci e il saper fare, il corrugazionismo alpinistrico, che ci vogliono i dardi e gli aculei, ‘no zucchero in polvere d’acciaio, amore zanna mannaja.
Insomma, Spazio non è una casa coi fiocchi, dato che la casa dorme; è volontà e presenza, amen.
Questo Spazio è un’attenzione, opzione critica (e sette), è una Chiave Sensibile che serve a vedere, di nuovo e finalmente, le cose e il valore che esse possied’ono ‘evano ‘ederanno. Oppure, che serve ad attribuire valore alle cose, a sfrondar la selva opaca e trista delle trascuratezze e delle speranze caduche cadute decedute tumulate pigre lettera testamento.
Meglio ancora, ripetiamo, che in giro è pieno di chiattoni spiaggiati tumescenti: a rinfrancare il valore perduto di talune cose, oggetti, enti, costrutti, preziosi e utili.
Insomma, si sa: da sempre (dal 2011), noialterij cura abbiamo e mastichiamo (senza sprizzare saliva di tra i denti: conosciamo le buone maniere; sappiamo esser composti a tavola; però, non ci stiamo, a tavola), cura degli scampoli sfilacciati di un Patrimonio che non tutti san vedone: cecità e pigrizia dell’uomo insipiente e distratto e impotente e ridicolo. Un’operazione sartorial-strutturale la nostra: su di nuovo i vessilli, che però non portano un simbolo *ma la carne: il vessillo qui non è mai velo (o metafora, o teoria), ma lo stesso Corpo rappresentato, ed ogni cosa rappresentata è anche la bandiera viva di sé stessa. Un vessillo è poi, a dire il vero, anche la pelle di un kamorz, ma questo è un avvertimento, se la fai garrire a monito, e garrisce, e garrisce, e garrisce. Naturalmente però, noi non li scuoiamo, i vandali e i ladri, e adesso veniamo a dirne.
2. I fatti. Vandali ieri. Vandali e ladri oggi.
E dunque, nelle scorse settimane, alcuni sciacalli, esseri aSpaziali, menti acefale, fili interdentali, composti culturali zerbinici, teste da pero, cisti tra gli orecchi, etcetera, sono venuti al Benedetto Villaggio di Corte, son sconciamente penetrati in questo luogo senza segnarsi e segnandolo (gl’insegnamo noi, li segnamo noi), luogo che, con Progettoborca, era invece già ben aperto disponibile, perfin dal 2014 (sveglia, intervieni, e poi usa anche la manera, per non esser solo larva sospesa, curatore di pensieri scala: eccoci qua. Minuto 5.57. Ah no. Eccoci qua. Ah no: eccoci qua.
Una bella varietà di pseudogenti, parauomini (e donne), subessenti: di imbecilli autentici, che han preso le strutture di Gellner per una gabbia del giuoco luddista, o per un free discount del design d’antan.
I ragazzini (immaginiamo, scopriamo), forse minorenni, di certo minorati culturali, han spaccato tutte le porte. Hanno sfondato usci legni e vetri, nottetempo penetrando nella Colonia, nella Canonica alla Chiesa di Nostra Signora del Cadore, all’Hotel Boite, e seviziando gravemente il Campeggio a tende fisse.
Sono vandali questi, nell’accezione peggiore (non provarti a salvarli con i contemplativismi storici, dissennato, poltronaro, o dormipiedi).
Sono bambocci annoiati, privi di idee e di conoscenze.
Sono irresponsabili e sciocchi e ignoranti: per loro, Corte è una qualsiasi fabbrica abbandonata, un luogo eccitante giusto quel poco nel breve, vil discondimento del delitto notturno.
Cose così.
Che stronzi.
Sono giovani però: se li prendiamo non li appendiamo ai corni per i corni: per un giovane c’è (forse) ancora speranza. Li mettiamo invece, certo, a lavare i cessi, come già quella volta in cui pescammo quegli altri scimuniti del Soft-air di Cortina, pajazi armigeri dalle bellicosità di plastic’a pallini, nel 2017.
Ma allora, in effetti, diamine, era già accaduto, eh certo, mica sono questi i primi somari, e invece i terzi, e non è poi una cosa tanto nuova e inaspettata questa, in ogni fabbrica, si sa: ma noi qui lavoriamo duro e bene a costruire: chi distrugge lo fulminiamo, e la differenza tra noi buoni e bravi e loro feccia: la ribadiamo.
I primi: nel 2014, eravamo da poco giunti a Borca, la Colonia l’avevamo trovata bacata devastata e piagata maciullata dagl’anni d’incuria e spadroneggiamenti (leggi qui il primo sacrosanto edificante pugnace sermone ceffone).
In un anno, quei frequentatori scalzacani erano usciti, ritirati, sciò, debellati, come l’acne, rush cutaneo sulla pelle del grandormiente, qualche bolla di gas putrido e poco pus, ecco cos’erano, una leggera infiammazione purulenta, colatura di sieracci cellulari scomposti decomposti, etcetera.
Li avevamo fatti fuori e come?
Così: che noi eravamo entrati armati del giusto (di idee; con la roncola), e avevamo rotto il trend, l’abitudine, a entrare, spaccare le vetrate e i lampadari e la catenaria (questi i tipi più vuoti: gli gnuranti culturali), portar via i materassi (questi i boulderisti della valle intiera) e altre utili masserizie, a servirsi di tutto alla bisogna o fumarsi sti quattro cannoni nella cittadella deserta, a predare arredi e mobilie e gli oggetti di design (questi gli architetti e i cultori del bello, e sono loro i peggiori tra tutti naturalmente, i più doppi e laidi: infatti, loro il valore sapendo e stimando, avrebbero dovuto far argine e contribuire a proteggere e gli altri testoni istruire, o no? E invece per primi, sconciamente sbavando, profittavano e razziavano, belli nascosti, questi tipi lordi di sorci viliacchi; mica ci pensavano a rigenerare; carpivano saccheggiatori, e nutrivano le proprie collezioni di soprammobili di spezial modernariato, tutto a gratis, tutto un trafugo: chissà che belle parole e sviolinate retoriche sulle doti eccezionali de Gellner, propinate ai loro amici estatici, mentre esibivano i trofei agli aperitivi a Venezia e dappertutto, dicendosi namorati, snocciolando consapevoli la loro doppia sapienza, mentre quei sorrisi metallici e famelici gli brillavano e friggevano sfuggendo dalle chiostre storte in ghigno, pel piacere del possesso rapinato.
Pagammo il nostro dazio anche, e proprio a questi ultimi rigetti.
Infatti, siccome l’attivazione del meccanismo del rilancio che porta Dolomiti Contemporanee è sempre, e dunque anche qui in Progettoborca, imperniata sull’accoglienza, ovvero sulla Residenza, ecco che, mentre ci producevamo nell’informare le persone della Valle del Boite (andando a comiziare nelle scuole, nei bar) della nuova fase costruttiva e OPA culturale lanciata a Corte, e che non c’erano più oblio e abbandono e possibilità di scasso, e che si riprendevan le redini, e che la Colonia cessava d’esser bandonata, perchè ora vi circolavano le idee rinfrancanti e le genti motivate e sveglie e vigili; ecco che mentre facevamo ciò e proprio per farlo, queste nuove brave genti istruite portavamo qua su, ed esse venivano perlopiù dall’esterno del territorio e anche da molto lontano, e insieme a noi visitavano le strutture apprezzando e sbalordendo le bocche tutt’uno spalanco, Colonia Chiesa Campeggio e Ville, le Ville in cui avevamo preso a vivere; e dunque un giorno, senza saperlo, ci portammo in casa un fottuto ladro istruito, chissà che gentile sarà parso anche lui e ossequioso e pien di quelle sapienze ed eccitazioni su qualità e valore, le serp’in grembo; di certo, questo porco bandito sapeva riconoscere la qualità: pur non avendone un’oncia in sé (paradosso umano: la merda che ambisce a possedere un lacerto del zielo; la sensibilità estetica come volgare meccanica capacità di riconoscimento della venalità della cosa, egoismo, possessività, laido impulso all’appropriazione, e così via). E quindi, ecco che una mattina, rientrando nella 169, dopo che avevamo trascorso la notte a prendere il fresco siderale surfando sugli anelli planetari di Saturno, Noi Esploratori degli Spazi, trovammo che mancava una cosa. La porta era stata forzata, il ladro farabutto, falso e traditore della fiducia e della Residenza e in ciò di tutto e di tutti, aveva portato via un unico pezzo, di cui evidentemente e per l’appunto conosceva la collocazione, un pezzo unico, Dio Lo Fulmini, se un giorno lo troviamo lo levighiamo e bocciardiamo per bene: una Biagio, lampada originale di Tobia Scarpa, design del ’78 per Flos, ricavata da quel famoso unico blocco di marmo di Carrara tipo statuario. Se sai chi è, o vuoi confessare e prenotare la tua esecuzione, cane, scrivi qui: info@progettoborca.net.
Cordialmente accogliamo i delatori.
C’è una taglia di 100.000 rupie.
Ma torniamo ai giorni questi di novembre 2020.
Dei lazzaroni, oziosi ragazzetti spaccaporte e tardi, abbiamo detto, eran venuti prima del 10.
Ma scolta qua: c’è di più.
Un upgrade della squallida pochezza, grave più grave.
Ecco infatti che fan la loro comparsa queste nuove patetiche gnobili figure, sempre parte della Legione Speciale dei Razziatori Scolarizzati Consapevoli.
Una bella mattina dunque, e precisamente quella dell’11 novembre, mentre lavoriamo e facciamo sprizzare le meningi agli uffici, Lorenzo, che sarebbe quello orbo (è un po’ miope), coglie un movimento. Tra l’esterno del refettorio e il cancello alto della Colonia, alcuni tavoli e mobili stanno in terra, accuratamente posati e dissimulati tra le erbe selvagge che scossero Mario Botta (le grande erbacce), lì stavano, in attesa di qualcuno. Uno dei mobili è stato smurato da una stanzuccia bella recondita che la devi cercare e cercare, per trovarla, imbucata com’è tra i budelli tentacolari del gran viscero conurbo: sappiamo bene quale. E’ un mobiletto di design a parete assai grazioso, con antine in vetro, originale. I vetri sono stati a loro volta smontati, e accuratamente riposti, imballati. Professionismo, nessuna improvvisazione.
Poi altri tavolinetti neri che vengon dai dormitori, lì accanto a fargli compagnia. Un radiatore piatto e grandicello e pesante smontato da una rampa-corridoio, anche qua resta solo l’ombra a muro: per farlo occorrono cacciaviti, tenaglie, tenacia, lavoro: mica siamo di fronte ad un movimento estemporaneo, lo capiamo subito, è un’azione studiata e pianificata di ladrocinio questa.
A quel punto Lorenzo mi dice che qualcuno si muove in Colonia, anche questo vede, e quindi mi muovo anch’io (io sono Gianluca e son senza Perdono: benvenuti). Quando arrivo sul retro del refettorio, la situazione è questa: la porta verso l’esterno è aperta. Di fronte, e siamo nella proprietà privata di Minoter (che è il Bene Pubblico Colonia) è parcheggiato un van nove posti. Due uomini si dan da fare là attorno, li affronto. Nessuno li ha autorizzati ad entrare. Scodinzolano imbarazzati, li guardo negli occhi e gli dico: state rubando, disgraziati. Siamo ad un centimetro dagli arredi espiantati. L’unico con le palle è l’unico italiano del gruppo: gli altri son todeschi falsi spergiuri; lui non fa finta del pero, capisce che non può, che li abbiamo colti in fragrante, che son spacciati; sospira consapevole, perlomeno si prende le sua responsabilità senza frignare, e ammette: sì, siamo dei coglioni, scusate.
Ed io: eh no, caro ragazzo: ora vi sistemiamo.
Alcuni altri di quel gruppazzo salgon verso di noi la rampetta dal cancello: altre due auto infatti son parcheggiate appena lì fuori, pronte alla fuga, la massima cautela, dentro solo il vettore da carico. Si fan sotto ridacchiando, timorosetti, incerti, speranzosi, ci son più donne che uomini, e io li apostrofo pesantemente, sti todescacci, le tipe si provano a negare, a dissimulare, a mentire: allora li apostrofo molto più pesantemente, primi scricchiolii e la paura in volto: li abbiamo beccati e non li molliamo. Uno di loro si mette alla guida del van, e fa per uscire dal cancello, vuole scappare. Mi paro avanti e gli faccio un segno: della croce. Si ferma, scende, forse sgrana un attimo il rosario cerebrale, pare proprio un tipo distinto, una bella figura snella elegante, ben vestito, occhiali di design.
Cazzo, quanto piace il design, eh?
E insomma, non tiriamola troppo lunga: confessano, e poco dopo firmeranno verbali terribili e confessioni umilianti (li umilio ferocemente, insisto, infliggo: ma in realtà è evidente che si erano umiliati lor già da soli anzichenò, sveglia ragazzi), sotto dettatura. Cos’avete già caricato, ladri? Poche cose, nicchiano affranti le recchie basse: una coperta originale Lanerossi con il cane a sei zampe. Oggetti ricercati, una Scenografia guadagnata a costo zero, predoni malvagi, sciagurati, pazzi.
Ci han mica sedici anni questi qua: ne han cinquanta, sono Professionisti, forse stimati anche, referenze.
E non han lavorato da dilettanti in effetti.
Progetto di effrazione (in Colonia troviamo delle porte sfondate, i segni evidenti di una ricerca insistita, di una caccia). Strategia di caricamento, piano di fuga.
Prendo altre informazioni, capiamo chi sono. Lavorano per una casa di produzione di Berlino, che ha appena ultimato le riprese per un film ambientato in Valboite. Han preso la fiducia del territorio, dei sindaci, delle persone. Ah, che bello il Cadore, ne parleremo in Germania, una promozione per il territorio, marketing strategico internazionale, una felicità anche il rapporto con le genti di qua, ormai siamo fratelli, spettacolari le Dolomiti.
Ora che han finito il lavoro, partendo per tornare a casa, fan ciao con la manina ai nuovi cari amici italiani della montagna, tutt’un sorriso. E così, però, sulla via del ritorno, dato che ci sono, e loro han la sensibilità spiccata per il bello e una grande, vorace e sana e positiva curiosità culturale, ecco che codesti tizi furbi han pensato di fermarsi un attimo e far tappa al Villaggio, così, per visitarlo, questo luogo speciale, importante, la tappa culturale appunto dopo la fiction (e ce la immaginiamo, la fiction).
Al mattino, i custodi del Villaggio, anche loro fiduciosi e ignari del piano di saccheggio, li avevano accompagnati a visitare il campeggio a tende fisse e l’Hotel Boite.
Avevamo incontrato anche noi la Banda, al campeggio: eravamo lì a visionare i danni perpetrati dai Giovani Imbecilli pochi giorni prima: che parabole e traiettorie eh? In qualche modo, un incontro tra i Modesti.
Ma, scopro poi, mentre come al solito indago, che siamo abituati qua a fare i detective pure: anche questo- in Colonia sti qua erano già entrati, gli sfrontati pianificatori; qualche giorno prima, sempre di nascosto, sempre senza permesso.
Avevano preso informazioni nei paraggi, bevendosi il caffè al bar: ma dov’è sta famosa Colonia? Ah, lassù? Ci avevan ronzato un poco intorno e poi, una volta individuati gli accessi, cos’avevano fatto, invece di chieder permesso ai custodi che pur conoscevano? Erano penetrati per veder cosa c’era dentro, a prender le misure, a valutare la consistenza del Patrimonio – la misure dei pezzi che possono stare in bagagliaio quando li vai a rubare.
Capito?
Si son ben guardati dal chiedere di entrare a fare una visita: più difficile riempire i sacchi davanti a testimoni.
Eccolo qua, un set rimediato, una Scenografia d’autore, e gratis, basta prenderla, dai, facciamocela, se siamo veloci non ci vede nessuno, roba da professionisti freddi e pure cinici (l’abbiamo detto, sono adulti e professionisti e forse anche apprezzati, a casa loro, dagli amici loro, dai loro datori).
Prendiamo i nomi di alcuni di essi, e, informata la Proprietà, decidiamo come procedere.
Andiamo subito in radio, raccontiamo la storia grave di questi balordi irresponsabili ai Sindaci, che, increduli, traditi, van su tutte le furie, come anche la casa di produzione di Berlino, che non è mica il mandante della rapina: arrivano le scuse costernate, che vergogna, incredulità, dispiacere, ma com’è possibile? Che cazzo han mangiato? Ci dicono anche (la casa di produzione): non prendetevela con noi, son stati loro, mica noi.
Che scoperta, mi pare ovvio no? E’ stato chi è stato. Gli altri non lo sapevano. Un errore, una caduta, mai l’avremmo sospettato.
E che ci possiamo fare noi, se non dir la verità, e quattro ceffoni?
Dico un’altra cosa ora: non tutti posson sapere tutto sulla coscienza dei propri dipendenti, certo.
Io però ne so un’altra, di cosa, e la cosa è questa.
Io non rubo valore, lavoro a conferirne.
Lorenzo non ruba, Elena non ruba, Marta non ruba, Alice non ruba, Tallo non ruba.
Altre centinaia che vengon qua con noi o attraverso di noi: loro non rubano. Infatti, chi lavora qua con noi non è un dipendente professionista opportunista falso e traditore. Chi lavora qui in/con DC fa una scelta di campo, di lavoro, di idea, di pensiero, di pratica, di profilo, e anche morale. C’è un abisso incolmabile, tra il nostro cielo in terra e la merda alla bocca di questi pezzenti. Noi qua facciamo i casting su base morale, agli artisti bravi, ai ragazzi del nostro staff: Progettoborca non è una fiction, professionista non è necessariamente una categoria sicura. Facciamo un lavoro generoso che vale per tutti, vogliamo ristorare il Patrimonio Perduto: e Non Rubiamo La Scena. Qui vige la fiducia, noi si fa bene (e però, abbiamo detto, di questa si può profittare anche dall’interno: la Biagio).
Insomma, al mondo ci stanno anche gli stronzi, tra cui i ladri falsi carpitori di fiducia. Una di queste tedesche dal bagagliaio capiente qua, a un certo punto, mentre la flagellavo dialetticamente fuor dal Refettorio, invece di implorar perdono, mi fa “non ci insulti, mi dia del lei”. Spudorata, disgraziata (e giustiziata: meglio non ripetere la sentenza).
Sul verbale-confessione che han scritto sotto dettatura e firmato, si dice che, ogni volta che li chiameremo, saran tenuti a tornare, questi pazzi delinquenti, a far lavori di bassa manovalanza, diciamo culturalmente utili, per espiare socialmente e moralmente; lavare cessi, spurgare fogne, robe così.
Altrimenti, li denunzieremo a lorsignori i carabinieri. Perché non l’abbiamo fatto subito?
Perché noi siamo pubblici, mostriamo e diciamo tutto, non ci interessa una punizione privata, preferiamo una pubblica esecuzione (questa) alla comminazione di una pena privata, che poi lo sanno in pochi, e questi nemmeno metton fuori la vergogna, e se la perdonano in fretta anche, scommetto io. Troppo comodo così. Tutti devono sapere.
E poi, così avremmo perso un’altra truppa di lavacessi no?
Dai, avrete capito a questo punto quanto siamo seri e quanto sappiamo scherzare, ONO?
Anche quando dico lavacessi.
I lavori sociali son giusti, in teoria. In pratica no, e noi siamo una pratica, non una teoria. Mica la vogliamo vedere ancora qui in futuro, sta gente squallida priva di etica e di valore, di cui non ci si può fidare, a contaminare il nostro habitat buono e sano, che non è un idillio, ma uno scambio delle intelligenze edificanti: e nemmeno un negozio di modernariato in saldo per furbetti professionisti indegni e stupidi.
Questo progetto nostro è LA fiducia e L’attenzione. Per questo anche: li abbiamo presi.
Noi ci siamo, loro no.
Chiaro?
Che dire ancora? Direi che abbiamo detto abbastanza, le somme son tratte, la differenza per l’ennesima volta marcata. Chi vale e fa valere: e chi non vale un cazzo.
Gianluca D’Incà Levis, 17 gennaio 2021